mercoledì 28 febbraio 2018

Viaggi Slow

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(foto da internet)

Se vi piace camminare e vi trovate spesso a farlo in montagna o nel week end, perchè non progettare una bella vacanza nella natura? A piedi, lungo vie dei pellegrini o in luoghi remoti del mondo, si possono apprezzare paesaggi mozzafiato, scaricare la tensione fisica della vita sedentaria e godersi l’aria aperta in tutte le stagioni. Si parla sempre del Cammino di Santiago e di quanto sia bella l’esperienza di viaggiare in questa maniera un po’ rustica,che, però, apre il cuore. Ma non tutti sanno che le opportunità per una vacanza a piedi sono molte, molte di più. Per aiutare la vostra esplorazione, dunque, ve ne proponiamo qualcuna. 

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(foto da internet)


Sul sito della Compagnia dei Cammini, si può trovare una proposta molto ampia di viaggi sia in Italia, sia all’estero, pensati per i grandi, ma anche per i più piccoli: una delle proposte, ad esempio, riguarda la possibilità per i gruppi con bambini di spostarsi in compagnia di un asinello. Le offerte partono dal semplice week end, fino ad arrivare a percorsi lunghi dieci o dodici giorni. Per ogni viaggio è indicato il livello di difficoltà: se siete poco allenati, scegliete quelli da un’orma, se vi sentite già pronti ad affrontare anche territori impervi e camminate più lunghe e impegnative, potete sollevare l’asticella della sfida fino a quattro orme. Ma niente paura, i viaggi da una o due orme sono molto numerosi. Alcuni percorsi permettono di portare con sè anche i cani, naturalmente attenendosi a regole e raccomandazioni. Secondo il tipo di itinerario, si può scegliere il pernottamento in piccoli alberghi e pensioni o sotto le stelle con la tenda, un’esperienza che può essere molto affascinante quando il clima lo consente. Tra le opportunità, anche «Cammini d’autore», viaggi in cui scrittori, pittori, musicisti, e altri artisti accompagnano piccoli gruppi su percorsi a loro noti e significativi, «Deep Walking», con percorsi improntati alla consapevolezza e alla meditazione ed esperienze miste di cammino e traversata in barca a vela.  
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Walden viaggi a piedipropone invece una lista molto ampia di viaggi anche in paesi lontani. Toscana, Italia, Europa, Mediterraneo e anche in Asia e Africa, la cooperativa offre la possibilità di camminare senza fretta per scoprire i luoghi passo dopo passo «perché camminare fa star bene, invita al confronto, alla condivisione, al contatto vero tra le persone». Si cammina di solito in piccoli gruppi «per condividere l’esperienza del viaggio e conoscere la cultura e le tradizioni dei luoghi anche attraverso incontri con la gente del posto». Una comoda interfaccia permette di trovare il viaggio più adatto a ognuno scegliendo secondo il livello di difficoltà, il genere di destinazione e il periodo dell’anno. Ci sono proposte con zaino leggero o trasportato, per permettere a chiunque di fare l’esperienza di un viaggio a piedi. Ma sono anche presenti viaggi più impegnativi per camminatori esperti, per soddisfare tutti i palati. 


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Il sito Vie dei Canti, ispirato al libro di Bruce Chatwin, organizza viaggi a piedi, attraverso paesi e paesaggi, che, alla dimensione naturalistica, coniugano quella comunitaria. Non si va, perciò, solo alla ricerca di luoghi in cui poter incontrare la natura incontaminata e selvaggia ma anche persone, che hanno le loro storie da raccontare e mestieri da insegnare. Anche qui si possono scegliere con un menù a tendina regione, difficoltà, mese e durata.

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Verde Natura, offre addirittura sette diversi livelli di difficoltà, identificati da fiorellini colorati. Ci sono viaggi a piedi, in bicicletta, in bicicletta e barca, in gruppo o organizzati solo per voi. Hotel, agriturismo, bed & breakfast e guesthouse sono scelti cercando sistemazioni caratteristiche, non troppo grandi e con architetture locali. In tutte le vacanze è previsto il trasporto dei bagagli da un hotel all’altro per farvi viaggiare leggeri e senza peso sulle spalle o sulla bici: si lasciano le valigie alla reception dopo la colazione e le si ritrovano il pomeriggio nella sistemazione successiva. In alcuni tour individuali è persino possibile portare con sè i propri cani. E, se temete di trovarvi in difficoltà, potete scegliere il servizio di assistenza plus: in caso di effettiva necessità (problemi fisici, guasti meccanici, imprevisti), vi basterà telefonare e in breve tempo una guida verrà a recuperavi o ad aiutarvi a risolvere il problema.

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(foto da internet)

Anche sul sito del Circolo Scarponauti, l’offerta è sfaccettata. C’è la possibilità di scegliere viaggi a piedi o anche in bicicletta, di uno, due o più giorni, con destinazioni in Italia e all’estero. In alcuni viaggi è previsto il «trekking urbano» alla scoperta di arte, cultura e archeologia di grandi capitali estere o zone insulari.  
Dallo scorso aprile, poi, il Touring Clubin collaborazione con SloWays propone molti percorsi che attraversano l’Europa a piedi e in bicicletta, in gruppo o in libertà. Ai soci sono riservati vari tipi di promozione e per avere uno sconto del 5% basta anche soltanto iscriversi al sito lasciando i propri dati.

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(foto da internet)

Sul sito di A piedi per il mondo,nella sezione «Viaggia con noi» troverete alcune opportunità interessanti per viaggi all’estero accompagnati da una  simpatica coppia, oltre a itinerari, recensioni, consigli e persino attrezzatura sportiva.  
L’associazione senza fini di lucro Movimento Lento, infine, è invece impegnata nella divulgazione del viaggio «slow» come vero e proprio stile di vita. Benché non offra direttamente la possibilità di prenotare viaggi, è un’interessante risorsa per chi desidera pianificare un itinerario a piedi per conto proprio: vi si trovano indicazioni di mappe Gps, mappe dei percorsi e molte altre risorse.  

lunedì 26 febbraio 2018

Ma che licenziamento d'Egitto!




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Il Museo Egizio di Torino è il più antico museo interamente dedicato alla civiltà nilotica ed è considerato, per valore e quantità dei reperti, il più importante del mondo dopo quello del Cairo. Dal 2004 è in gestione alla Fondazione Museo Egizio di TorinoL'anno scorso il museo fece registrare circa 850mila visitatori, risultando l'ottavo museo italiano più visitato in Italia. Il Museo Egizio nacque all'inizio del XIX secolo quando, sulla scia delle campagne napoleoniche in Egitto, in tutta Europa scoppiò una vera e propria moda per il collezionismo di antichità egizie. Bernardino Drovetti, un piemontese che fu console generale di Francia durante l'occupazione in Egitto, collezionò oltre 8.000 pezzi tra statue, sarcofaghi, mummie, papiri, amuleti e monili. 






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Nel 1824, il re Carlo Felice acquistò la collezione e vi unì altri reperti di antichità classiche di Casa Savoia, dando vita al primo Museo Egizio del mondo. Verso la fine dell'Ottocento, il direttore del museo Ernesto Schiaparelli, fece nuove acquisizioni e condusse importanti campagne di scavi in Egitto. Intorno al 1930, la collezione contava già con oltre 30mila pezzi in grado di testimoniare ed illustrare tutti i più importanti aspetti dell'Antico Egitto, dagli splendori delle arti agli oggetti comuni di uso quotidiano. Dopo alcuni lavori di ristrutturazione e ampliamento, nel 2015 il Museo venne nuovamente inaugurato con una superficie espositiva più che raddoppiata, una sala mostre e delle aree per la didattica. Il museo è suddiviso in quattro piani con un percorso di visita cronologico. Al suo interno si trova un'importante biblioteca, spazi di restauro e studio di mummie e papiri e, dal giugno 2015, la struttura partecipa a una spedizione archeologica internazionale in Egitto.







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In questi giorni il Museo Egizio di Torino è saltato alla ribalta a causa di una polemica sorta in piena campagna elettorale che, semplificando, potremmo riassumere così: l'ex ministro Giorgia Meloni (leader del partito di destra Fratelli d’Italiavs. il Museo Egizio (o contro il direttore Christian Greco).
Perché? Perché il Museo Egizio di Torino, a fine 2017, lanciò l’iniziativa Fortunato chi parla arabo che consisteva in uno sconto (due biglietti d'ingresso al prezzo di uno) a favore delle persone che parlano l'arabo e quindi fondamentalmente immigrati nordafricani. 
Giorgia Meloni, in visita elettorale a Torino,  si scagliò contro il Museo Egizio al classico grido di "prima gli italiani", protestando energicamente dinanzi alla sede e accusando il direttore di essere razzista nei confronti degli italiani.





(foto da internet)

Il giorno del sit-in, Greco, colpito dagli schiamazzi dei seguaci della Meloni, decise di scendere in strada e di spiegare la suddetta iniziativa ai manifestanti.
Il video (vedi>>) fece il giro del web, ma il partito della Meloni rincarò la dose con un altro vizietto tutto nostrano: le minacce. Il responsabile della comunicazione di Fratelli d'Italia, Federico Mollicone, dichiarò: "Una volta al governo Fratelli d'Italia realizzerà uno spoil system automatico di tutti i ruoli di nomina del ministero della Cultura". Ovvero, quando noi arriveremo al potere manderemo a casa Christian Greco e le sue belle iniziative.
Orbene, conviene ricordare ai simpatici seguitori di Giorgia Meloni quanto segue:
a) Il Museo Egizio fa sconti durante l'anno a vari collettivi, come, del resto, tutti i musei del mondo.
b)  il Museo Egizio realizza, nel corso dell’anno, una serie di promozioni e iniziative che hanno finalità educative e di marketing (ad esempio, sconti per chi si presenta in coppia per San Valentino...).
c)  Il Governo italiano non ne nomina il direttore. Il consiglio di amministrazione del Museo è formato da cinque membri: uno nominato dal Governo, uno dalla Regione Piemonte, uno dal Comune di Torino, due dalle fondazioni bancarie (San Paolo e CRT).





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Nel frattempo, l'operato di Greco ha riscosso numerose simpatie e una parte della stampa ha ricordato, ai seguaci della Meloni, che il Nostro ottenne l'incarico di direttore nel 2014, e venne rispolverato il suo curriculum disponibile ancor oggi sul portale del Museo: maturità classica a pieni voti a Vicenza, laurea in Lettere antiche con tesi in Archeologia a Pavia, master in Egittologia nell'ateneo olandese di Leiden, abilitazione all'insegnamento del greco e latino in neeerlandese, dottorato di ricerca a Pisapiù di trenta pubblicazioni scientifiche, collaborazioni con musei importanti quali il Louvre e i Musei Vaticani, curatore di esposizioni internazionali, spedizioni di scavo, e chi più ne ha, più ne metta... 
La Fondazione del Museo e la presidente  dell'ente Christillin difesero l'operato del direttore e specificarono che "Spetta solo a noi nominare e revocare i dirigenti".
Meditate, gente, meditate...

venerdì 23 febbraio 2018

Pierino del dottore




(foto da internet)

"Voi dite che Pierino del dottore scrive bene. Per forza, parla come voi. Appartiene alla ditta. Invece la lingua che parla e scrive Gianni è quella del suo babbo. Quando Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio: -Non si dice lalla, si dice aradio-. Ora, se è possibile, è bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla scuola."  
Lettere a una professoressa, da cui abbiamo tratto il brano sopraccitato, è un libro scritto dagli allievi della scuola di Barbiana, insieme a don Lorenzo Milani, in cui si mescolano principi pedagogici e forti accuse nei confronti della scuola tradizionale,  esemplificando le differenze sociali tra gli studenti con il personaggio di Pierino del dottore (e cioè Pierino, il figlio del dottore, che sa già leggere quando arriva alle elementari).




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Lorenzo Milani nacque a Firenze nel 1923, nel seno di una famiglia colta e agnostica. Venne battezzato quando si profilò il rischio delle leggi razziali, dato che la madre era di origine ebraica. Il giovane Lorenzo ottenne a Milano la maturità classica e si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti, ma, nel 1943 decise di entrare in seminario.  Nel luglio del '47 diventò sacerdote. Passò qualche mese a Montespertoli (Firenze), ed ottenne la sua  prima destinazione a San Donato a Calenzano (Firenze), un comune operaio in provincia di Firenze, con una forte presenza del Partito Comunista Italiano
In contatto con la povertà e lo sfruttamento, la miseria materiale e intellettuale in cui versava il suo popolo maturò una profonda coscienza sociale. Lì ebbe inizio la sua esperienza didattica: la scuola che fondò si propose di dare ai suoi studenti gli strumenti necessari per poter leggere almeno un contratto di lavoro e per difendersi dallo sfruttamento. 




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In quegli anni prese le sue prime posizioni pubbliche come la lettera aperta “Franco, perdonaci tutti, comunisti, industriali, preti”, scritta a un giovane disoccupato, in cui mise in evidenza le contraddizioni della Chiesa.

Inviso alle gerarchie ecclesiastiche, nel 1954 gli fu assegnata un'altra parrocchia a Sant’Andrea di Barbiana (una frazione di Vicchio), una pieve isolata nel Mugello. Incominciò così un'esperienza educativa unica, rivolta ai giovani di quella comunità che, per ragioni geografiche ed economiche, erano fortemente svantaggiati rispetto ai coetanei di città. Don Milani trovò a Barbiana pastori e contadini, schiavi della mezzadria, i cui figli erano predestinati alla vita dei padri,  espulsi sin da piccoli dalla scuola, scartati e annullati come persone.




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La scuola di Barbiana iniziò come doposcuola per diventare successivamente avviamento professionale e, nel 1963, corso di recupero per la media unificata, anche grazie al prezioso aiuto di Adele Corradi, un'insegnante che chiese il trasferimento in una scuola pubblica della zona, per dare una mano a don Milani.
Nel 1958, don Milani pubblicò Esperienze pastorali un trattato di scienze pastorali, incentrato su una profonda riflessione sociologica sulle condizioni delle comunità a lui affidate e sul ruolo del parroco in contesti di povertà materiale e intellettuale. Il libro fu osteggiato dalla Curia fiorentina e venne ritirato, pochi mesi dopo, dal Sant’Uffizio.
La bocciatura di due ragazzi di Barbiana all’esame d’ammissione alle scuole magistrali, innescò Lettera a una professoressa, il suo testo più noto, una spietata e lucida disamina della scuola pubblica di quegli anni, incapace di colmare le differenze sociali esistenti tra gli studenti.




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Il testo fu scritto con l’innovativo metodo della scrittura collettiva insieme ai ragazzi e andò alle stampe nell’aprile del 1967. Don Milani, gravemente malato, morì due mesi dopo l'uscita del testo.  
Orbene, a volte, in Italia, si ha l'impressione di essere tornati al passato. Fra i tanti problemi che affliggono la nostra scuola, c'è anche quello del marketing dei cosiddetti presidi-manager. In questi ultimi mesi, alcuni di essi hanno rispolverato un blasone stantio e fortemente classista.

Il Giuseppe Parini, liceo storico milanese, si presenta sul sito ministeriale ricordando che: “Gli studenti del classico, per tradizione, hanno provenienza sociale più elevata. Ciò nella nostra scuola è molto sentito” (sic).
E ancora il liceo romano Santa Giuliana Falconieri scrive: “Gli studenti del nostro istituto appartengono prevalentemente alla medio-alta borghesia romana (...) Negli anni sono stati iscritti figli di portieri e custodi di edifici del quartiere. Data la prevalenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri e custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi”.



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Un altro liceo romano, il Quirino Visconti, si pubblicizza in questo modo: “Tranne un paio, gli studenti sono italiani e nessuno è diversamente abile. Tutto ciò favorisce l’apprendimento”.
E il liceo genovese Andrea D’Oria lancia un'altra perla: “L’assenza di gruppi particolari (ad esempio nomadi o provenienti da zone svantaggiate) dà un background favorevole”.
In soldoni: carissimi studenti (italiani) benestanti di razza bianca, sani e felici, venite al nostro liceo perché qui non ci sono immigrati, poveri (e/o figli di custodi) e disabili.
Insomma, per dirla con i ragazzi di Barbiana:  scuola peggiore ai poveri sin da piccini.
Don Milani è ancora profeticamente attuale.











mercoledì 21 febbraio 2018

La Smart compie vent'anni

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Spegne 20 candeline l'auto che ha rivoluzionato il modo di parcheggiare, ma anche di spostarsi in città. Dal 1998 a oggi, sono tanti gli eventi curiosi che ne hanno caratterizzato la storia...

Johann Tomforde, ingegnere della Mercedes-Benz, nel 1972, ebbe l'idea di produrre un'auto a due posti. Il progetto riprese qualche anno più tardi, grazie alla collaborazione con la Swatch (storica azienda produttrice di orologi) e la Mercedes.

Mr. Nicolas Hayek, il miliardario fondatore della fantasiosa Swatch aveva le idee chiare. Anzi chiarissime: “La vera city car – dichiarò - deve avere assolutamente il motore elettrico. Senza il quale la Swatch car non vedrà mai la luce. E poi dovrebbe essere condivisa".
Erano gli inizi degli anni novanta, la tecnologia delle auto a batteria (per non parlare del car sharing) non era ancora così avanzata da rendere possibile la realizzazione di un progetto così ambizioso, ma il geniale fondatore della casa di orologi di plastica non mollava. Cercò in tutti i modi di realizzare il suo progetto, arrivando a bussare alla porta di sua maestà Mercedes.


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Ma non ci fu nulla da fare. La vetturetta poteva prendere il mare solo se a benzina. E proprio su questo “piccolo” problema tecnico ci fu lo storico divorzio fra la Swatch e la MCC. Mr. Nicolas Hayek, gettò la spugna e grazie alla possente mano tecnologica Mercedes la Smart venne alla luce solo con normali motori a benzina.

Il marchio Smart è l'acronimo di Swatch-Mercedes-Art. L'obiettivo era quello di iruscire a produrre un'auto in grado di amssimizzare la convenienza, il comfort e la sicurezza di conducente e passeggero, minimizzando l'impatto sull'ambiente. 

Ma nella lunga storia della Smart Fortwo un altra tappa importantissima fu l'arrivo del micro diesel. Chissà infatti se quando nacque il progetto Swatch car l’esistenza di un motore super tecnologico come quello della prima diesel avrebbe potuto convincere Mr. Hayek a firmare con la sua casa di orologeria la vetturetta.

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Insomma non era certo un’auto elettrica ma ci si avvicinava parecchio…
Oggi che la Smart compie 20 anni però il sogno del papà della Swatch si è realizzato: la macchina è elettrica e condivisa. Ulteriore testimonianza del genio visionario Hayek.

Nel 1996 furono prodotti i primi prototipi ufficiali e due anni dopo ci fu il vero e proprio lancio della biposto. 
Nel 2004 poi la presentazione del nuovo modello: da due a quattro posti. 

Nell'ultima serie, si sa, il motore a gasolio è sparito: sarebbe costato troppo renderlo Euro6, e poi la rivoluzione elettrica era già decisa: dal 2020 tutte le Smart saranno solo a batteria.






Insomma sulla storia della Smart si potrebbe girare un film. C'è stato il modello della polizia, il furgone e mille aneddoti che rendono divertentissimo parlare della macchinina che ha fatto la felicità di tanti disperati del parcheggio. Ascoltate la canzone del trio Medusa Un uomo in smart "guida come 'n assassino pe le vie der tiburtino, pe raggiunge su cugino pe piasse n cappuccino...")






Particolare anche la storia - che pochi conoscono - della Fortwo negli Usa. Una delle cose che diede più problemi all'allora DaimlerChrysler. E già perché i tanti importatori paralleli avevano a quel tempo letteralmente invaso gli Usa già dal 2004 con modelli comprati in Europa e poi modificati per venire in contro alla normativa americana.



C'era stato anche chi aveva fatto le cose in grande: la Zap, un'azienda californiana nel 2006 mise in piedi addirittura una catena di concessionarie, essendo riuscita a mettere le mani su un lotto abbastanza consistente di Smart.  

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La Zap fece addirittura causa alla DaimlerChrysler, rea di aver ostacolato in tutti i modi l'importazione della Smart, e con la tipica caparbietà degli imprenditori americani riuscì a piazzare qualcosa come 6000 Fortwo nel 2006 e 15.000 nel 2007. Le Smart importate dalla Zap costavano però uno sproposito: il listino andava da 24 mila dollari in su, ma con qualche accessorio era facile sforare il muro dei 30 mila. Più di una Corvette...

Poi nel 2007, dopo aver incassato il colpo, la Mercedes si vendicò. E per il debutto ufficiale della Smart puntò su un listino stracciato di 11.590 dollari... Ovviamente si trattava del nuovo modello, più lungo di 19 cm rispetto al vecchio, e molto più sicuro, in modo tale da poter superare senza problemi la severa normativa Usa...



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Il resto, è storia dei giorni, con l'Italia che è il primo mercato al mondo per le Smart e Roma la città che ne compra di più... Buon compleanno Smart, gli italiani (e i romani) ringraziano.

lunedì 19 febbraio 2018

Scherzi da prete



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Uno scherzo da prete è un modo di dire che significa scherzo di pessimo gusto, brutto tiro, tiro birbone o mancinoL'invecchiamento e il pensionamento della popolazione attiva ci hanno davvero giocato un brutto tiro: in Italia, infatti, mancano i preti e chiudono le chiese. E fin qui la cosa, per molti, potrebbe ancora andare. Ma un problema ben più grave è in agguato: invecchiano anche i nostri medici. Da qui a dieci anni si aprirà uno scenario assai inquietante per la salute degli italiani: nel 2028 smetteranno di lavorare circa 45mila medici, di cui 30mila ospedalieri e quasi 15mila medici di famiglia. In totale, oltre 80mila dottori se ne andranno e, stando ai calcoli ufficiali, circa 14 milioni di italiani resteranno senza medico di base!





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A lanciare l'allarme è stata la Federazione medici di medicina generale e il Sindacato dei medici dirigenti. L’anno nero in cui ci sarà il picco delle uscite per pensionamento, sarà, per i medici di famiglia, il 2022. Per i medici ospedalieri, invece, le uscite maggiori si verificheranno in Sicilia, Lombardia, Campania e Lazio.  Nei nostri ospedali mancheranno soprattutto pediatri, chirurghi, ginecologi e cardiologi.
Assente completamente il ricambio generazionale: nei prossimi dieci anni ci saranno circa 10mila medici curanti, contro i 33 mila che andranno in pensione. Lo stesso discorso vale anche per i medici ospedalieri, dove è previsto un pensionamento per 45-47mila unità. 
La colpa è in parte delle scuole di specializzazione che non garantiscono un numero sufficiente di specialisti per il futuro, e in parte delle Regioni che dovrebbero provvedere-mediante bandi di concorso ben mirati- a rimediare a tale situazione. Purtroppo, il tempo non è dalla parte dei cittadini, dato che, paradossalmente,  quando si riapriranno i concorsi, mancheranno i medici da assumere, giacché in molti saranno ormai al lavoro all’estero: su 9mila laureati solo poco più della metà ottiene le borse per le scuole di specializzazione e la diaspora è, attualmente, di circa 2mila partenze all’anno.


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Risultato? Nei prossimi otto anni, 14 milioni di italiani non avranno più il medico di famiglia.
Se, in futuro, invece del medico avrete bisogno del curato, le cose non andranno meglio: in alcuni paesi le chiese vengono aperte solo per funerali o per occasioni particolari. La crisi delle vocazioni sta colpendo specialmente i borghi di montagna e le zone interne dell’Italia.
Lo spopolamento di queste zone è causato da vari fattori: l’abbandono delle attività tradizionali per via dell’insufficienza del reddito percepito, la denatalità e  la mancanza di servizi.
Tutto ciò concorre a spingere gli abitanti di queste aree a cercare maggiori guadagni, prospettive di vita più allettanti, stili di vita diversi e un miglioramento della posizione sociale, concretizzando queste aspettative altrove. Risultato: 
non ci sono più fedeli, e il loro numero sembra ormai l'unica condizione determinante nella scelta per poter mettere a disposizione della comunità un parroco. 





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E allora, da laici, ci siamo ricordati dei versi struggenti di Pier Paolo Pasolini, il quale, in due bellissimi testi, scrisse:

Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d'altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,  

dove sono vissuti i fratelli.  

(Da Poesia in forma di rosa)

E ancora: 

Difìnt i palès di moràr o aunàr,
in nomp dai Dius, grecs o sinèis.
Moùr di amòur par li vignis.
E i fics tai ors. I socs, i stecs.

Difendi i paletti di gelso, di ontano,
in nome degli Dei, greci o cinesi.
Muori d’amore per le vigne.
Per i fichi negli orti. I ceppi, gli stecchi.

Il ciaf dai to cunpàins, tosàt.
Difìnt i ciamps tra il paìs
e la campagna, cu li so panolis,
li vas’cis dal ledàn. Difìnt il prat

Per il capo tosato dei tuoi compagni.
Difendi i campi tra il paese
e la campagna, con le loro pannocchie
abbandonate. Difendi il prato

tra l’ultima ciasa dal paìs e la roja.
I ciasàj a somèjn a Glìsiis:
giolt di chista idea, tènla tal còur.
La confidensa cu’l soreli e cu’ la ploja,

tra l’ultima casa del paese e la roggia.
I casali assomigliano a Chiese:
godi di questa idea, tienla nel cuore.
La confidenza col sole e con la pioggia,

ti lu sas, a è sapiensa santa.
Difìnt, conserva prea. 

lo sai, è sapienza sacra.
Difendi, conserva, prega! 

(Da Saluto e augurio)

Amen.





























venerdì 16 febbraio 2018

Il Carnevale di Ivrea



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Anche il Carnevale se n'è andato e ci siamo ricordati, al di là degli sfarzi di quello di Venezia, dei carri allegorici di quello di Viareggio, di una celebrazione assai peculiare in Italia che, secondo il quotidiano The Guardian è una delle migliori mete per assaporare un Carnevale veramente alternativo: il Carnevale di Ivrea"Ivrea la bella che le rosse torri
specchia ... ", scrisse il Carducci della cittadina che  si trova in provincia di Torino.


Se in Spagna c'è la Tomatina -col lancio dei pomodori-, in Italia la più grande battaglia con il cibo si svolge proprio qui, ma a suon di arance. La festa si snoda, infatti, attorno a una sfida tra varie squadre e il lancio dell'agrume si effettua a piedi e dai carri trainati da cavalli. 



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La battaglia delle arance -che si tiene nel periodo di carnevale- è una tradizione che affonda le radici nel  cosiddetto tuchinaggio (le rivolte contadine contro i nobili che portarono ad alcune forme di protocomunismo) e nella ribellione contro il feudatario di Ivrea che venne cacciato dalla ribellione popolare (rappresentata, durante la festa, dalla figlia del mugnaio che lo avrebbe giustiziato) e che permise alla città di essere un comune libero.  Alla tradizione napoleonica si devono invece la sistematizzazione della celebrazione attuale e l'introduzione della figura del Generale che sovrintende l'evento e del berretto frigio come simbolo di libertà.
Quello di Ivrea è il più antico Carnevale Storico d’Italia ed è un evento unico in cui storia e leggenda si intrecciano per dar vita a una grande festa civica popolare dal forte valore simbolico.




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La spettacolare Battaglia delle arance si svolge per tre giorni nelle principali piazze cittadine. Il carnevale eporediese si caratterizza per un complesso cerimoniale che attinge a diverse epoche storiche fino a culminare nel Corteo Storico. Vera protagonista della festa è la Vezzosa Mugnaia, simbolo di libertà ed eroina della festa sin dalla sua apparizione nel 1858. Ad accompagnarla c'è il Generale, di origine napoleonica, che guida lo Stato Maggiore, e poi il Sostituto Gran Cancelliere, cerimoniere e rigido custode della tradizione, gli Abbà, bambini che rappresentano i cinque rioni del borgo e il Podestà, rappresentante del potere cittadino. A scandire il Corteo, le note della banda di Pifferi e Tamburi.



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Lo spirito dello Storico Carnevale d’Ivrea si incentra nella rievocazione della sollevazione del popolo contro il Marchese di Monferrato che affamava la città. Nella leggenda fu il gesto eroico di Violetta, la figlia di un mugnaio, a liberare il popolo dalla tirannia. Ribellatasi allo ius primae noctis imposto dal barone, Violetta lo uccise con la sua stessa spada e la celebre battaglia delle arance rievoca questa rivolta. In segno di partecipazione alla festa tutti i cittadini e i visitatori, a partire dal giovedì grasso, su ordinanza del Generale, scendono in strada indossando il classico berretto frigio, un cappello rosso a forma di calza che rappresenta l’adesione ideale alla rivolta e quindi l’aspirazione alla libertà, come fu per i protagonisti della Rivoluzione Francese.





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La Battaglia delle arance, l’elemento più spettacolare della festa, rappresenta la rivolta del popolo (aranceri a piedi) contro le armate del tiranno (aranceri sui carri), si svolge per tre pomeriggi (da domenica a martedì grasso) e le squadre a piedi, senza alcuna protezione, combattono contro gli aranceri sui carri, protetti da caschi di cuoio.
Alla battaglia prendono parte nove squadre: Asso di Picche, la Morte, gli Scacchi, gli Scorpioni d’Arduino, i Tuchini del Borghetto, la Pantera Nera, i Diavoli, i Mercenari e i Credendari, che tirano da posti fissi.
I carri, invece, sono divisi in pariglie (2 cavalli) e quadriglie (4 cavalli) che si alternano all’interno delle piazze per pochi minuti.





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Degno di nota è anche il Corteo Storico del Carnevale di Ivrea, popolato da svariati personaggi di epoche differenti: la Vezzosa Mugnaia (Violetta) con la sua Scorta d’Onore, il Toniotto (suo marito), il Generale e lo Stato Maggiore, il Sostituto Gran Cancelliere, il Podestà garante della libertà cittadina, gli Alfieri con le bandiere dei cinque rioni rappresentati dagli Abbà, la banda di Pifferi e Tamburi. Durante le due domeniche che precedono il Carnevale il protagonismo è tutto dei piccoli Abbà, e cioè i bambini-rappresentanti che vengono presentati dai balconi dei rispettivi rioni. Il giovedì grasso è il giorno del passaggio dei poteri dal Sindaco al Generale, e il clou dei preparativi è sabato sera quando, dal balcone del Municipio, viene finalmente svelato il nome della Vezzosa Mugnaia, l'eroina del Carnevale.


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La domenica mattina è il Podestà il protagonista di una delle cerimonie più simboliche, la Preda in Dora: e cioè il lancio di una pietra nel fiume che simboleggia la distruzione della sede del tiranno. 
Durante i giorni di festa si svolgono le tradizionali Fagiolate nei rioni della città. Le Fagiolate risalgono al Medioevo, quando i fagioli erano distribuiti ai poveri dalle Confraternite eporediesi. Ad Ivrea si servono i cosiddetti faseuj grass: fagioli cotti per più di sei ore all’interno di pentoloni di rame con cotenne, cotechini, ossa di maiale, lardo e cipolle. 
La festa si chiude con la Polenta e Merluzzo, il mercoledì delle Ceneri. In piazza Lamarmora si può gustare questo piatto della tradizione eporediese.
La celebrazione finisce definitivamente con il saluto tradizionale in dialetto canavesano Arvëdse a giòbia a 'n bòt (Arrivederci all'una di giovedì), formula con la quale ci si dà appuntamento al carnevale dell'anno seguente.

mercoledì 14 febbraio 2018

Perché Sanremo è Sanremo

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(foto da internet)


In questi giorni di Carnevale, non possiamo non dedicare un post all'edizione del Festival di Sanremo appena conclusa. 

I vincitori  della 68esima edizione del Festival sono Ermal Meta e Fabrizio Moro con Non mi avete fatto niente
Al secondo posto Lo Stato Sociale con Una vita in vacanza, terza Annalisa con Il mondo prima di te

Ecco il podio con, al primo posto, i protagonisti dell'unico "caso" di questa edizione che ha tenuto banco per i primi giorni del festival, in quanto accusati di plagio. "Nessun senso di rivalsa, solo tanta felicità" dicono i vincitori. "Non abbiamo mai pensato ai pronostici, se ci avessimo pensato saremmo entrati in ansia da prestazione", dice Meta.

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(foto da internet)


Però, a parte la gara canora, vogliamo condividere con voi l'esibizione del direttore artistico Claudio Baglioni con la cantante Fiorella Mannoia in "Mio fratello che guardi il mondo", canzone di Ivano Fossati contro la guerra, a seguito del monologo del conduttore del Festival, l'attore Pier Francesso Favino tratto dal monologo di "La notte prima delle foreste" di Bernard-Marie Koltès.

Dunque , tra tanta musica e lusso e polemiche, un momento intenso sul tema dell'immigrazione, della sofferenza, di chi è costretto a spostarsi per sperare in un futuro e cercare un posto nel mondo.